Lo spazio mentale

Un po’ di tempo fa ho letto un articolo sugli spazi abitativi che ho trovato particolarmente interessante. Mi ha permesso di riflettere sulla musica e sul suono come, appunto, spazio abitativo (naturalmente in relazione alla musica intendo lo spazio abitativo mentale). Le riflessioni e le intuizioni che ne sono scaturite riguardavano la sensazione profonda che anche le note, come gli edifici, gli oggetti, le cose che ci circondano, siano elementi ben precisi collocati nel nostro spazio di vita. L’articolo in questione argomentava e dimostrava l’importanza che hanno gli spazi abitativi nell'utilizzo dei due emisferi cerebrali, definiva lo spazio come: … un organismo unitario formato dal rapporto reciproco e costante fra tre elementi fondamentali: il vuoto, il pieno e l’uomo. Qualcuno, paragonando il musicista al pittore, ha definito il silenzio (che potrebbe essere il vuoto) come la tela bianca sulla quale il musicista compone la sua opera. È una bella metafora per far capire la relazione tra la musica e il silenzio, l’opera sonora e il compositore. Personalmente aggiungerei un aspetto sociale e culturale che fa riferimento all'utilizzo concreto degli strumenti, il loro mescolarsi, il creare atmosfere, evocare sensazioni … cioè “l’universo sonoro” (percepibile con i sensi) di un’esecuzione musicale. Possiamo, inoltre, individuare anche un aspetto interiore, potremmo definirlo psichico, che è il rapporto profondo tra l’individuo e il suono, tra lo spazio mentale, che non può essere del tutto vuoto così come non lo è l’ambiente che ci circonda, e la musica. La musica e gli strumenti musicali sono secondo me l’espressione di una certa società, di un ambiente socioculturale caratterizzato da tradizioni, costumi, modelli di vita e di pensiero che formano quel percorso storico che segna il carattere di un popolo. Pensiamo ad un popolo con i propri strumenti a corda, a fiato, a percussione ecc. e i relativi sistemi musicali. Per esempio, in India troviamo il complesso sistema dei Raga, in Africa l’antica tradizione della kora ecc. È facile intuire quanto questi possano influenzare l’umore, i pensieri, le emozioni, il funzionamento stesso del cervello e quindi lo spazio mentale e quindi l’immaginazione. 

È possibile vedere in questi due aspetti un’influenza reciproca: la società “informa” la musica e la musica trasforma la società. Non è un caso che molte dittature, storicamente, abbiano vietato e vietino l’ascolto (o la diffusione) di certi generi musicali se non addirittura la musica tout court in senso di intrattenimento, creatività, protesta ecc. Si pensi (per fare un solo esempio) alla dittatura militare in Brasile (1964-1985) che aveva proibito la Bossa nova come genere musicale e allontanato alcuni musicisti dal Paese. Se guardiamo la storia della musica occidentale, comune a molte culture, la musica è stata al servizio della chiesa o comunque della religione fino in epoca recente (almeno fino all'Illuminismo e all'avvento della società borghese). Il fatto stesso che in quasi tutte le culture sia presente la distinzione tra musica colta e musica popolare la dice lunga sulle strutture socioeconomiche e le loro implicazioni con i valori individuali e collettivi. 

Ma quanto il nostro spazio mentale dipende dallo spazio sonoro nel quale siamo immersi? L’articolo citato metteva in evidenza quanto l’esperienza spaziale e lo spazio abitativo influiscano non solo sulle nostre sensazioni di benessere o malessere, ma anche sul nostro modo di utilizzare il cervello. “Il giardino Zen rappresenta la più alta espressione di spazio concepito per comunicare con l’emisfero destro” afferma l’autrice. Mentre l’emisfero sinistro è la sede del pensiero razionale ed è responsabile della nostra capacità logica e di ragionamento, l’emisfero destro, semplificando, è quello che permette la creatività, l’intuizione, la percezione di noi stessi in relazione diretta con ciò che ci circonda e non per mezzo delle conoscenze archiviate come avviene con l’emisfero sinistro. Risulta quindi evidente quanto sia importante la possibilità di sviluppare l’emisfero destro, tenerlo vigile, in continua attività. E se proprio non possiamo vivere in un giardino Zen cerchiamo almeno di allenare e coltivare la nostra coscienza facendo scelte di maggior benessere, senza cadere nelle trappole dell’abitudine, dei luoghi comuni, dei modi di pensare già pronti e confezionati. Come musicisti possiamo cominciare allargando i nostri ascolti e i nostri interessi. 

È naturale che ognuno di noi abbia il suo genere preferito, il musicista più amato, ma è importante ascoltare anche quello che altri hanno da dire, altre culture, altri generi. Ogni volta che iniziamo qualcosa di nuovo, un esercizio di tecnica, una nuova canzone, che ascoltiamo un autore sconosciuto, che impariamo una scala o un nuovo ritmo è un po’ come se accendessimo un’altra lampadina nel nostro cervello, una nuova sinapsi espande le nostre capacità di comprensione e nello stesso tempo tiene attivo l’emisfero destro: insomma, allarghiamo i nostri orizzonti e i nostri spazi mentali. Tutto questo è positivo soprattutto per le capacità creative di un musicista, che non può essere solo come un atleta super allenato, ma cristallizzato dentro a delle formule. Molti musicisti, per esempio Steve Vai, dedicano una parte del loro tempo alla crescita interiore, alla meditazione, altri a forme d’arte diverse come la pittura, la poesia, a dimostrazione del fatto che il risultato della nostra musica dipende anche da ciò che abbiamo dentro (e che senz'altro bisogna imparare ad esprimere), da quello che siamo e non solo da quanto siamo allenati. Una cosa importante è quanto il nostro benessere psicofisico rispecchiandosi nella nostra musica può far stare bene gli altri. Senza naturalmente togliere nulla a chi invece della propria disperazione, della propria sofferenza interiore ha fatto un modo di comunicare e una forma di arte. 

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