Identità: tra musicalità e genere


Quanto la protesta sociale ha permesso di elaborare nuovi codici comunicativi e un’estetica e un discorso musicale innovativo? Personaggi di rilievo internazionale, come Bob Dylan e Joan Baez (per esempio) hanno, senza dubbio, influenzato l’intera generazione degli anni ’60 e ’70 e non solo. I contributi alla creatività e all'immaginazione sociale, da una parte, e alle tematiche sociali dall'altra sono stati significativi. Le nuove istanze giovanili che andavano formandosi in quegli anni con l’avvento della società del benessere sono state innegabilmente intessute di nuovi suoni e nuove parole, di musica e colori destinati a cambiare la cultura giovanile e le generazioni successive. Prima ancora sono stati musica di protesta, anche se spesso in codice, i canti nelle piantagioni di cotone, nelle risaie italiane, i canti contadini, quelli contro la guerra. Perfino il melodramma ha avuto spazi di protesta nei libretti delle opere e nelle figure dei compositori. In fondo, a ben vedere, ben poche “rivolte” hanno fatto a meno della creatività musicale del loro tempo.

Oggi che la protesta e l’immaginazione hanno lasciato il posto all'orizzonte del vortice elettronico possiamo cercare di intravvedere tra i pochi spazi a disposizione nella narrazione occidentale della musica, quanto la cultura, la struttura e i costumi sociali siano fondamentali nelle caratteristiche espressive dell’arte nei diversi popoli e nei diversi tempi. Mi riferisco, per esempio, alle differenze “a confronto” nell'utilizzo del ritmo o delle scale nelle musiche dei popoli del nord e del sud del mondo, oppure tra oriente e occidente. È necessario sviluppare la sensibilità e l’apertura mentale per guardare anche oltre e fuori dalla nostra cultura e dal nostro tempo, per non farci ingabbiare dentro alle formule, agli schemi il più delle volte cristallizzati in pratiche elaborate a scopo commerciale. Dentro a “modi” e modalità di linguaggio, magari belli da sentire, ma che non sempre sono sufficienti a far crescere artisticamente e soprattutto utili a sviluppare una creatività personale. Ascoltare senza pregiudizio e senza voler per forza far rientrare tutto dentro a un “genere” o una definizione. La musica dovrebbe essere musica (cultura senza frontiere), non una serie di etichette o un limite invalicabile al di là del quale “non è più jazz, non è più rock…” ecc. ecc. Impariamo ad amare la musica e guardare in ogni direzione culturale, geografica ed anche temporale. Si tratta di acquisire un’identità musicale e per farlo dobbiamo crescere e aprirci, non autolimitarci!

In genere la musica, che sia classica o rock, pare essere territorio maschile. Leggendo i nomi di compositori, strumentisti, musicisti famosi o che abbiano lasciato una forte impronta, ci accorgiamo che sono tutti di sesso maschile. L’unico ambito dove sembra che in effetti ci sia una certa parità di contributi è quello del canto, sia rock che classica. Ma è forse nel jazz che il contributo maggiore è saldamente in mani femminili e i nomi delle cantanti sembrano addirittura in alcuni casi svettare ad altezze quasi irraggiungibili. 

Anche se, come abbiamo visto, nella pratica musicale gli uomini sono in numero maggiore, non si tratta di inferiori doti creative o artistiche del genere femminile, ma piuttosto di aspetti culturali e sociali che dovrebbero farci riflettere seriamente sulla nostra società e nello stesso tempo farci capire che le capacità artistiche e la creatività sono soprattutto una ricchezza di cui tutti siamo dotati, anche se in misura diversa, ed è necessario avere l’opportunità di praticarle, esprimerle e non ultimo affinarle e modellarle attraverso lo studio. Insomma, se dovessi dare una “sessualità” alla musica mi piacerebbe definirla “androgina”, perché in fondo racchiude in sé sfumature e caratteri di entrambi i generi. La musica è anche un mezzo per provocare, pure sessualmente. Chi non ricorda certi chitarristi rock, tutti tesi a brandire la chitarra verso il pubblico con atteggiamenti inequivocabili? O performance di artisti come Prince, David Bowie, Freddy Mercury, Marilyn Manson, Madonna o Lady Gaga (per fare solo alcuni esempi) che hanno spesso giocato le loro figure musicali ed interpretative sull'ambiguità sessuale? 

Per non parlare degli strumenti: solo da qualche anno chitarre, batterie e sax si vedono in mano a musicisti donne. Quindi un’identità androgina che però deve essere conquistata nei fatti, nella giusta distribuzione delle opportunità. Per un musicista uomo al momento le cose sembrano più facili per avere successo, sono sì richiesti talento (ma forse non sempre, magari saper seguire le mode) e originalità, ma a una donna che fa musica, ancora oggi si chiedono delle qualità in più: la bellezza, magari, una personalità provocante o la disponibilità/capacità di andare oltre i limiti.

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